venerdì 24 luglio 2015

Trans d'Havet

Tutto comincia due anni fa, un caldissimo sabato di fine luglio, mentre mi trovo (non per caso) a Valdagno a guardare l’arrivo dei miei idoli, i campioni del mondo di corsa in montagna, tifando per loro quasi con le lacrime agli occhi. Un susseguirsi di arrivi iniziato in tarda mattinata, ad animare le vie del centro storico con lo speaker che osanna questi miti.
Scattai con Kilian ed Emelie alcune foto (dopo aver fallito il tentato rapimento di quest’ultima), diventate poi un poster, e tutto finisce lì. Anche se qualcosa continuava a frullare nella testa. A marzo di quest’anno il giorno dell’Ultrabericus aprirono le iscrizioni della Trans d’Havet. Bene, via il dente via il dolore, ritirai il pettorale e mi spostai al tavolo alle mi spalle. Ancora ricordo la mano che mi tremava mentre firmavo il modulo di iscrizione. Un pazzo!!
Ma chi se ne frega, ho quattro mesi per allenarmi. Quattro mesi però passano in fretta e cercando di programmare bene le uscite e le fasi di riposo qualcosa son riuscito a combinare. Quasi un’intera settimana di riposo assoluto per lasciar recuperare le gambe ed eccoci alla data fatidica.
E qui inizia il racconto vero e proprio (armatevi di pazienza).
Venerdì pomeriggio passa a prendermi Angelo ,un amico che sto portando sulla brutta strada… Si parte in direzione Valdagno per il ritiro pettorali!! Passano i chilometri e commentiamo assieme il percorso che ci aspetta, dandoci coraggio per i tratti più difficili. Ma l’incognita più grande rimane una, il METEO.
Il bollettino Arpav è disastroso e da quel che dicono le previsioni tutto il caldo delle scorse settimane lascerà proprio nella notte spazio a correnti freddi che daranno origine a fenomeni violenti. Tradotto: venerdì sera temporali sicuri. Sabato alternanza pioggia temporali.
Cosa volere di più??
Ritiriamo i pettorali, agitazione a 1000. Mangiamo qualcosa tutti assieme, ci vestiamo ed in silenzio andiamo ad ascoltare il briefing pre gara. Solite raccomandazioni però condite ancora dalla massima attenzione da tenere per via dei fenomeni atmosferici previsti.
Dopo mezz’ora siamo in corriera verso Piovene Rocchette. La tensione (mia) è talmente alta che perdo la voglia di parlare con gli amici. Arrivati a destinazione con sorpresa vedo che la partenza è in centro al pese dove si tiene in questi giorni la festa paesana…e via con il liscio. Riesco a rilassarmi e ritrovare la voglia di scherzare. E quasi quasi mi farei pure un ballo!! Meglio stare attenti altrimenti nell’ora che ci separa dallo scoccare della mezzanotte va a finire che ci ritroviamo a mangiare panini al salame tracannando fiumi di birra.
Ci voleva un po’ di relax, mescolandoci assieme agli abitanti del paese, che ci vedono come se fossimo degli alieni. Rimarrei qui delle ore. Ed invece no, pronti, si entra in gabbia. Passa il chip, vedo il mio nome sul display del controllo. Cazzo, sono davvero io. Alla Trans d’Havet.
Tutto è pronto, inizia il conto alla rovescia e si parte!! A mezzanotte in punto 280 atleti (o pazzi che dir si voglia) scattano per le vie del paese. Comincia la salita sul Monte Summano. Tutto fila liscio fin oltre metà ascesa, quando il rumore dei tuoni inizia a farsi minaccioso. Se prima sembravano lontani si stanno spostando pian piano verso di noi. A pochi centinaia di metri dalla cima inizia a gocciolare. Nessun problema, fa caldo, andiamo avanti senza perdere tempo per indossare le giacche.
Finalmente vedo la croce della cima del Summano, che conosco quasi a memoria dalle tante foto postate in facebook dagli amici della zona che si allenano regolarmente qui.
Il rombo dei tuoni si fa sempre più forte, scendiamo velocemente lungo le creste, magicamente mi scordo delle parole dette da chi mi diceva di fare attenzione a dove mettere i piedi, perché al buio gli strapiombi non si vedono… Le gocce diventano pioggia passando velocemente a diluvio. Stop. Sosta  veloce per indossare la giacca impermeabile. I boati diventano insopportabili. Ad una cinquantina di metri da noi cade una lingua di fuoco, seguita istantaneamente da una suono tipo bomba. Partiamo a razzo, qui l’unico modo per uscire è andare avanti, indietro è impossibile e lateralmente non ci sono vie di fuga. Ho veramente paura. Scaccio in fretta la terribile sensazione che mi trasmette la mente, “qui è finita”, e avanti a tutta tra le saette che cadono a raffica vicino a noi. Il sentiero è reso scivoloso dal fango, a passi lunghi e decisi corro come poche volte in discesa. Dimentico tutto finché vedo le luci e le tende del primo ristoro a Colletto di Velo. Nel frattempo la situazione metrologica si è attenuata e tiro un sospiro di sollievo!!
Si riparte, la salita verso il monte Novegno sale a pendenza costante, lunghi rettinei alternati da tornanti, un sentiero che ci porta rapidamente in quota, sempre con illuminando il percorso con le torce frontali. Il bello dura poco, a circa metà salita un altro temporale si abbatte su di noi. Altri attimi di paura. Fortunatamente le saette sono lontane ma cerco di accelerare più possibile per arrivare quanto più possibile vicino ad un potenziale riparo, che possa essere qualsiasi cosa, una grotta, una stalla, va ben tutto, ma basta che in caso di emergenza mi ci possa fiondare dentro. Il buio rende difficoltosa la ricerca, se poi ci si mette pure un acquazzone monsonico i pensieri diventano altri. Dove mettere i piedi! Sembra quasi di risalire camminando nel greto di un ruscello, con l’acqua che a volte copre le scarpe. Presto la massima attenzione a dove metto i piedi, il sentiero è largo, però a tratti molto esposto, ed i fulmini che illuminano a giorno la zona ci lasciano di tanto in tanto come un promemoria con l’altezza delle pareti, con cadenza irregolare è come se si accendesse una lampada che mette in evidenza la conformazione della zona, per pochi istanti si vedono il sentiero, gli alberi…ed i tanto temuti (da me) costoni di roccia.
Arrivati al ristoro sulla cima il meteo, assieme a noi, si prende una pausa. Mi sembra addirittura di vedere le stelle. Avverto una spiacevole sensazione di freddo, cambio maglia, magio qualcosa e riparto prima di congelarmi.
Ho ancora impressa l’immagine di un numeroso gruppo di mucche al pascolo, che vengono disturbate dal nostro passaggio, con le luci frontali in testa illuminiamo la zona impedendo ai bovini di dormire. E’ stata la prima volta che delle mucche mi hanno spaventato, stavo corricchiando a ritmo blando, alzo la testa e vedo decine e decine di occhi che mi guardano. Una scena quasi da cartoni animati dove su sfondo nero si vedono brillare gli occhi di chissà quale specie animale pronta ad azzannarti. Un velo di terrore mi rimane fin che torno alla realtà Del resto sono anche le 3:30 minuto più minuto, la gente normale a quest’ora è a letto da parecchio (beati loro).
Scendiamo su un percorso abbastanza morbido facendo attenzione ai sassi sempre presenti. E dopo una decina di chilometri di sottobosco, ed aver superato il monte Alba, finalmente raggiungiamo passo Xomo.L’alba ha iniziato a farci compagnia da poco e guardando il cielo il tempo sembra essere dalla nostra parte. Meglio approfittarne, perché le previsioni per sabato sono un disastro.
Siamo al trentesimo chilometro, sono le 5:50. Da tempo sto meditando al ritiro, proseguire con le condizioni meteo con cui abbiamo affrontato la notte sarebbe stata una sofferenza, e questo era il punto in cui sarei dovuto salire sulla navetta, salutare tutti e via. Però la felpa finisher la voglio!! Che poi come sempre sarà in taglia L ovvero larga il doppio di quel che serve (ma cosa cavolo chiedono a fare la taglia nei moduli di iscrizione??) , vabbè dai, la terrò come un cimelio sacro ed ogni volta che la guarderò mi tornerà in mente questa avventura!!
Grazie al miglioramento del tempo ho superato strada facendo la crisi mistica con i pensieri negativi, scendendo di quota ho ripreso temperatura ed ora sto bene. Mangio qualcosa, aspetto l’amico Angelo che mi segue a pochi minuti di distanza. E via, si riparte. L’avventura continua.
Ci aspetta la strada delle 52 gallerie, un capolavoro di ingegneria realizzato durante la prima guerra mondiale per approvvigionare il fronte sul monte Pasubio. Di circa 6 km, un terzo del percorso si percorre in galleria, alternando tratti esposti con pareti alte centinaia di metri che danno nel vuoto. Fortunatamente la mulattiera è sufficientemente larga. Spunta un timido sole, i panorami che si ammirano da quassù sono strepitosi. Un altro atleta mi illustra, indicando l’orizzonte con la mano, il tratto di gara che dobbiamo ancora percorrere. Penso: “siamo pazzi”. Meglio continuare e fermarsi poco. Dopo un paio di ore siamo al rifugio Papa, una sosta per una barretta e via diretti per la strada degli Eroi da cui si raggiunge la metà del percorso, il passo Pian delle Fugazze.
Dai ormai il pericolo dei cancelli orari dovrebbe essere finito. Ho cercato di gestire al meglio le energie e dopo 40 km con 3000 m D+ fatti sono ancora relativamente fresco. E quindi una bella pausa ci sta. Il ristoro è ben fornito e mangio molto volentieri una buona minestrina. Ha la duplice funzione di riportarmi in temperatura e di sistemare lo stomaco, che fino ad ora sembra funziona al meglio…ma è sempre meglio prevenire… Tra una cucchiata e l’altra con gli amici vediamo transitare la gara “corta” di circa 42 km che partiva proprio il sabato mattina alle 9 poco lontano dal nostro ristoro. Finito di banchettare come si deve riparto da solo e cerco di andare a raggiungere qualche atleta.
Il paesaggio cambia nuovamente, una bella salita nel bosco e si corre poi tra ampi prati verso Campo Grosso. Rapidamente il tempo cambia di nuovo, diluvia!! Rapido stop, giacca antipioggia e avanti tutta. Per fortuna era un falso allarme ed in 10 minuti le nuvole si aprono e lasciano passare qualche raggio di sole.
Al ristoro cercao una funivia o qualcosa di simile per superare la parete che porta sul monte Carega J Ricerca inutile purtroppo e con pazienza ripartioo con le mie gambe. Qui incontro l’amica Silvia che corre la gara corta e procediamo assieme. Saliamo il canalone che ci porta alla base della Bocca dei Fondi. La pendenza aumenta sempre più. Mi ritornano in mente alcuni passaggi al DXT in cui ci dovevamo quasi arrampicare sulle rocce per salire. Nessun problema e si va su a zig zag tra ghiaioni e piccoli arbusti.
Guardo in alto, molto male! Vedo un passaggio con altri atleti davanti a me che camminano sopra un tratto molto esposto. Sudori freddi. Che faccio? Lascio? Ora ci rido su, ma lì per li se Silvia non mi avesse fatto da guida sarei ancora incastrato. Mando avanti lei, mi sistemo per bene il berretto in testa in modo che mi impedisca la visuale sopra e soprattutto di lato!! Guardo solo dove mette i piedi lei e seguo con estrema fiducia i suoi passi. Ad ogni passaggio tecnico mi aspetta, guarda se procedo bene. Fin che finalmente scolliniamo alla forcella. Tiro un gran sospiro di sollievo!! Fatta…e in fin dei conti sotto sotto mi son pure divertito J
Saliamo di altri 200 metri circa, la stanchezza un po’ si fa sentire, improvvisamente è salita la nebbia, il vento soffia forte e fa freddo. Di nuovo giacca e su. Arriviamo sul punto più alto della corsa, al rifugio Fraccaroli (2238 metri). Probabilmente il panorama sarà meraviglioso da qui, torneremo un’altra volta, meglio andare giù ed evitare di congelarci, quanti gradi ci saranno? 4 o 5 a sensazione.
Si scende a tutta, il ristoro del rifugio Scalorbi ci aspetta, ed ho fame, tanta!! Sull’ultimo prato prima del rifugio una curiosa immagine, un’atleta sta tranquillamente dormendo sull’erba. La visione un po’ mi tenta, ma la fame vince su tutto! Mangiamo beviamo, ci ristoriamo e avanti.
Ancora salita, non finisce mai. E qui dico a Silvia: “guarda che bel camoscio nel ghiaione”. Si dissolve praticamente subito. Allucinazione n°1 vieni a me. Però era carino, peccato la mia compagna non l’abbia visto.
Nella successiva discesa verso la catena delle Tre Croci i mughetti la fanno da padrone, ed il profumo di resina mi trasporta con la mente verso il mare, quasi come se fossero pini marittimi. Svegliaaaaa che mancano ancora 25 km. Procediamo al passo, corriamo, camminiamo, ammiriamo il panorama che è sempre maestoso tra la pianura e le montagne. Anche qui mi sento infinitesimamente piccolo in confronto a quello che è la natura, a questi giganti di roccia, alla forza che sprigiona come nella notte appena trascorsa.
Anche il telefono ricomincia a funzionare, sento i messaggi che arrivano, e che cavolo, si stava così bene quassù fuori dal mondo. Avanti ancora perdendo sempre più quota, ecco un bel gregge di pecore che riposano sul prato, appena tosate, sdraiate a prendere il sole. Le sto invidiando molto… Sempre giù. Ed ecco che ricominciano le corde. Silviaaaaaa, aiutooooo!! Berretto schiacciato in testa e avanti un passo dietro l’altro seguendo la mia guida. Un bel salto nel vuoto alla mia destra che con questo sole è così ben illuminato da farsi ammirare in tutta la sua altezza. Passerella sospesa più cavo, yeeeeee. Se questa volta non mi passano le vertigini son davvero un pollo! Qualche imprecazione e raggiungiamo il rifugio Bertagnoli, due ringraziamenti davanti alla chiesetta nei pressi del ristoro e finalmente ci rilassiamo qualche minuto.
Fa caldo, ora il sole scotta (ringrazio sempre le previsioni che hanno sbagliato alla grande), sono da poco passate le 15:30. Merenda? Ma si dai, facciamo un buon brodino caldo con la pastina. Una specialità. Ci sediamo sulla panchina e sembriamo un gruppetto di anziani fuori dell’ospizio nelle ore calde della giornata. Scattiamo alcune foto con gli amici della croce rossa (ammiro quei ragazzi che regalano ore del loro tempo a guardare noi che ci divertiamo), ricarichiamo le scorte di acqua e via. Meglio accelerare il passo che la strada è ancora lunga. Al successivo punto di controllo di Cima Marana oltretutto gli alpini che stazionano al punto di controllo ci incitano con un “dai che mancano 8 km e siete arrivati”. Ma come? Ho sbagliato i conti nella tabella? Figata, bene. Sono così tranquillo che le ultime creste le faccio pure volentieri camminando come un equilibrista guardando il vuoto sotto i piedi.
Comincia l’ultima infinita discesa che ci conduce verso la tanto temuta civiltà, manca solamente un ristoro, e prima di raggiungerlo due volontari sul percorso ci incitano con un “dai che mancano 8 km e siete arrivati”. Mah! Sbaglio o questa l’ho già sentita? Ok grazie, mezza imprecazione e avanti corricchiando nel bosco, dove vedo alcune radici muoversi trasformandosi in serpenti, olè!
Il rumore dei campanacci precede l’arrivo all’ultima malga. Ultime ricariche alle borracce. Mangio qualche pomodorino sempre presente nei vari tavoli (ci manca giusto un formaggio da accostarci) e ci informiamo sulla distanza che ci rimane da coprire, in risposta “mancano 8 km e siete arrivati”. E che cavolo!! Ma hanno imparato tutti la stessa frase???
Giùùùùù veloci, poco dopo intersechiamo le prime strade sterrate, poi asfalto, di nuovo qualche sentiero. Passiamo per i primi centri abitati. Fontana! Tappa per rinfrescarsi. Favolosa l’acqua fresca. La solita malinconia da fine gara mi attanaglia, però me la tengo, cerco di pensare ai bei momenti trascorsi durante la giornata, che è stata talmente lunga che mi sembra di essere fuori da una settimana. Le persone che incontriamo ci salutano, ci fanno i complimenti, scambiamo due parole volentieri con tutti.
Il nostro amico che in cima al Carega stava dormendo ci sorpassa a bomba! Alla facciazza del pisolino ristoratore, questa la dobbiamo tenere come carta vincente per i prossimi ultra!! Basta avanzare come gli zombi. Basta orologi con gps e bla bla bla. Una bella sveglia legata al polso, camel back pieno di acqua a far da cuscino e giù duri a dormire!!
Ricomincia l’asfalto, eh si, e questa volta continua. Finisce anche la discesa. I volontari agli incroci ci fermano le auto. Mancano pochi centinaia di metri. Ora corriamo con una scioltezza che non sentiamo più dolori alle ginocchia, stanchezza,… ma solo una grande gioia per aver terminato questa favolosa avventura. Ecco il centro del paese, curva a sinistra. Eccomi in quel viale che vedevo due anni fa, da dietro le transenne, mentre con la macchina fotografica in mano applaudivo i miei idoli.
Ora mi sento quasi come uno di loro. 19 ore e 40 minuti (praticamente il doppio di Kilian Jornet), quasi un giorno intero immerso tra le montagne con condizioni meteo a momenti veramente proibitive, in balia degli agenti atmosferici, con momenti di sconforto in cui volevo gettare la spugna, se non per poi ritirarmi su ed andare avanti avanti avanti. Una giornata ricca di amicizia, di natura, di tranquillità, di fatica, tutto quello che mi piace.
Mai avrei pensato di tagliare questo traguardo, il “viaggio” Trans d’Havet me lo ricorderò per molto tempo!!

NOTA: aggiungo una piccola precisazione, come giustamente mi hanno fatto notare alcuni amici. Quando parlo di passaggi molto esposti, la percezione è soggettiva!!  Sebbene frequenti e pratichi la corsa in montagna da anni, haimé appena vedo che sotto i piedi il terreno si allontana sempre più, entro in modalità "allarme". E sicuramente dove inizio ad essere dubbioso passeggiano tranquillamente tutti senza nessun problema!! La corsa è fattibile per tutti (con un buon allenamento)!!

Super i miei amici Placido ed Angelo, che sto portando su una brutta strada J






































































2 commenti:

  1. Complimenti bel racconto mi sembrava di far la corsa anch'io. Hai messo il doppio di tempo di Killian ma..... Lui non ha fatto le belle foto che hai fatto.

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    1. E' il mio modo di "correre", gustarsi i luoghi, chiacchierare con gli amici e divertirsi!! Che poi magari è una scusa per giustificare il doppio del tempo sul cronometro ah ah ah :)

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